Clara Mantica C A N T A R E S T O R I E
Perché ci interessiamo ai cambiamenti? Perché le cose stanno cambiando.
Cambiano gli oggetti, le tipologie, cambia chi li pensa, chi li produce, cambia chi li compra e chi li vende, cambia chi li comunica e chi non cambia non trova di meglio da dire che “non succede niente”, “è solo un gran polverone”.
Noi non crediamo che i cambiamenti a cui stiamo assistendo e che, per quanto ci compete stiamo vivendo, siano solo effetti di qualche inconscia comune allucinazione e, peraltro, non ce la sentiamo nemmeno di teorizzarli, chiudendoli in una formula
Ma cosa sta cambiando?
Il mercato (le persone, noi stessi) si sta sempre più diversificando in funzione di un panorama socio economico profondamente mutato nel corso degli ultimi 20 anni: la centralità dell'industria e della famiglia si sta gradualmente scorporando e formula nuovi modelli produttivi e di aggregazione sodale. La corsa alla comprensione delle nuove categorie di consumatori (da cui dedurre i prodotti e i modi della distribuzione) è in atto: studi sulle tendenze, analisi sociologiche, applicazioni del marketing alle analisi motivazionali, individuazione degli stili di vila nel tentativo di orientare gusti e passioni secondo le categorie della merce.
Nuovi oggetti sono all'orizzonte del panorama del costruito, cose che contengono in sé funzioni poeticità, che sembrano indicare una strada diversa sia dall'arte che dal design per attraversare in modo consapevole e rituale le azioni del quotidiano.
Nuovi gli artefici: designers? Artisti? Molti “ricercatori” si stanno muovendo sulle linee di confine fra i generi (classico e moderno, per esempio), fra epoche (recupero della storia e prefigurazione del futuribile), fra categorie di produzione (industria e artigianato), fra modi dell'espressività (arte e design). La produzione accoglie in modo più o meno dichiarato e consapevole le nuove espressioni e si formano appendici (secondi e terzi marchi): convivono prodotti di grande serie, di piccola serie, produzioni numerate, pezzi unici.
La distribuzione, in molti casi, risponde con ulteriori iniziative e nascono altre famiglie di prodotti gestiti direttamente da nuove figure di professionisti che, vivendosi ogni giorno in diretto rapporto con le cose e con il mercato, individuano nuove proposte. Le cose si moltiplicano vertiginosamente.
Altri, di fronte alle infinite differenze di comportamento del mercato si sintonizzano con una fascia ben identificata di interlocutori e cercano di servirla in un arco di bisogni e consumi sempre più articolati: dal mobile all'accessorio in un percorso che, secondo il principio degli “stili di vita”, faccia riconoscere in una certa categoria di cose ed emozioni una certa categoria di persone.
La grande distribuzione, forte della sua presenza sul territorio, si prepara ad autogestire integralmente il processo delle merci: dalla produzione, all'offerta, alla comunicazione. Ha luogo, cosi, una sorta di inversione di tendenza - già varata negli Stati Uniti e in molti paesi europei - che vede la distribuzione al centro di un sistema complesso di relazioni e servizi e la produzione in posizione decentrata e polverizzata. Succede cosi che il grande magazzino americano commissioni singole componenti, che assemblerà a sua cura, in tutto il mondo: lo stampato in plastica a Taiwan, il legno tornito a Lissone, i rivestimenti di colone in Turchia.
La comunicazione si raffina a tal punta da trasformarsi, in molti casi, da servizio a prodotto. I generi (moderno, postmoderno, classico, avanguardia, tradizionale) chiedono di essere ricapiti e, forse, ridefiniti: una ricca produzione di case racconta di nuove sorprendenti sinergie fra universi che la cultura di “ieri” ci insegnava a separare e a considerare antitetici.
Nuove formule abitative, la concentrazione degli spazi edilizi e dei nuclei familiari spingono alla ricerca di nuove tipologie di prodotto che reinterpretino le funzioni in rapporto ad un paesaggio di comportamenti mutanti.
In termini di scambio culturale ed economico con gli altri paesi, la necessita di internazionalizzare il dibattito e la proposta viene dall'infittirsi di attività di cooperazione fra enti ed istituti di tante nazioni del mondo: il 1992, anno della caduta delle barriere doganali dentro al mercato comune europeo, è alle porte.
Siamo alle soglie del Duemila, una soglia preconizzata nella tradizione e nella fantasia individuale come soglia della trasformazione. Le cose si stanno trasformando ma in modo sorprendentemente diverso da quel modello dell'automatizzazione universale, delle pillole alimentari, che solo fino a pochi anni fa la fantasia collettiva faceva coincidere con la fine del secolo. Spinte al recupero della centralità dell’uomo, alla cura di sé, alla ritualizzazione del quotidiano vengono insieme ad infiniti gesti di distruzione dell'ambiente. Viviamo in un'epoca fortemente divisa e non è facile orientarsi.
Dunque, come si può fare finta di niente e proseguire sulla strada del già detto e del già fatto?
Il quaderno sui “Mutamenti” è il nostro modo di stare dentro la dinamica di questo tempo. Se avessimo preteso di affrontare il problema nella sua totalità ed enormità, cosi come la premessa suggerisce, non avremmo avuto neanche il coraggio di iniziare: abbiamo fatto, cosi, la scelta, molto limitata ma dichiarata, di affidarci al filo delle nostre intuizioni e delle nostre curiosità scegliendo di incontrare alcuni dei protagonisti del mutamento. Persone che stimiamo, diverse fra loro, che per la precisa connotazione delle loro scelte rappresentano oltre a se stesse altri incroci di esperienze e di vissuti. Non importa che ci si riconosca o no nel loro approccio o nelle soluzioni del loro lavoro: l’obiettivo è quello di contribuire alla crescita della consapevolezza delle scelte di ciascuno di noi, quelle che facciamo in ogni momento della nostra attività e che il continuo mutamento del contesto socioeconomico e produttivo ci spinge a fare se non vogliamo rimanere senza voce e possibilità di intervento. Ovunque si collochi il nostro contributo rispetto al tema del “costruire”, del “comunicare” e dell’‟abitare” e a condizione che le esperienze vengano orientate al positivo: è finito il tempo di dire solo “no”, vale la pena di incominciare dai “si”, fossero anche aghi in un grande pagliaio. Ma noi siamo molto più ottimisti.