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MEDITAZIONE
Shama maschile e femminile 

Testo integrale

Dopo avere fondato e lavorato con Tarshito allo “Speciale” di Bari dal 1982 al 1987 progettando, producendo e commercializzando una serie di oggetti ‘rituali’ per la quotidianità domestica, segue una ricerca individuale che la porta dall'lndia a Milano dove lavora come designer.

Domanda C.M.  Del tuo percorso desidero enucleare soprattutto un aspetto, quello della integrazione del “maschile” e “femminile” nel progetto. La tua esperienza con Tarshito alla Galleria Speciale si é conclusa  e la vostra ricerca individuale continua con linguaggi diversi. Cosa ha significato per te questa esperienza? Le donne mancano storicamente dal progetto: che ruolo può avere il femminile nell’evoluzione della cultura delle cose e dell’abitare? Al dibattito sul maschile e femminile mi pare si possa affiancare, per ricchezza di analogie, quello fra oriente e occidente: cosa può rappresentare la cultura materiale indiana nei confronti di quella occidentale?

 

Risposta S.C.T. Per sette anni io e Tarshito abbiamo lavorato insieme fondendo le nostre energie nei progetti di lavoro e nella vita. È stata una vera esperienza totale, ogni giorno abbiamo superato dure prove per fare incontrare le nostre menti. La mia energia femminile, profonda e nascosta, in contatto con le radici eterne delle cose, aveva paura di uscire, di affermarsi. Avevo bisogno del coraggio di Tarshito, lui rendeva possibile la realizzazione dei nostri progetti, convinto della necessita di farlo. Insieme abbiamo riprogettato il nostro mondo partendo dall'esperienza di vita, in quel momento da pionieri (il 1980 a Bari) nell’ultima città dell'occidente, ai limiti del deserto del mondo.

Abbiamo lavorato con il fuoco, il ferro, il rame, i minerali antichi, con i nostri oggetti abbiamo creato un habitat aureo che cerca una sintesi fra oriente e occidente, tra la necessità maschile di materializzare e affermare l'identità del progetto e la natura femminile di disperdersi e comprendere i misteri dell'esistenza. Con estrema serietà, attraverso gli oggetti, abbiamo comunicato la necessita di essere con il divino; la nostra strada di ricercatori spirituali attraverso il progetto. Sempre più precisamente ho sentito la responsabilità dell’anima degli oggetti che accompagnano e sostengono la vita degli uomini. E qui (1987) le nostre strade si sono separate, per me è nata l'urgenza di conoscere altre realtà, di capire sempre meglio dove attingere la saggezza e a chi trasmetterla.

Per molti mesi ho sospeso di fare e di pensare il design, ho preso distanza da questo lavoro nel momento di maggior espansione; questo grande progetto di lavoro e di vita per me stava diventando un’isola ideale per pochi prescelti. In sette anni un ciclo si chiude, l’esperienza è completa (sono andata via per non celebrare). Tarshito mi ha trasmesso la sua forza e il suo coraggio eroico, io gli ho svelato i segreti dei miei viaggi nella pancia del mondo per arrivare al cuore. II viaggio in India (1988) è stato importantissimo per riconoscere la mia identità di designer-sciamana.  Captare, i messaggi delle esigenze di un'umanità in evoluzione, decifrare i simboli delle civiltà antiche: penso che sia il mio compito in questo momento per restituire un progetto che abbia una vibrazione orizzontale, morbida e avvolgente come un'onda, comprensibile e moltiplicabile. I bazar indiani sono pieni di piccoli e grandi oggetti per la casa, per il corpo, per il culto.

Oggetti carichi di amore e di bellezza che tutti possono comprare. Forme perfettamente in armonia con le esigenze della gente, design anonimo che contiene il segreto della saggezza lì, dove lo svolgersi della quotidianità, è un messaggio di luccichii, di oro vero e falso, di sterco di vacca, fiamme tremolanti, odori forti, sapore di curry e odore di incenso. Gli indiani sanno vivere con dignità anche quando la loro casa è un marciapiede. 

Sono tornata in Italia decidendo di vivere e lavorare a Milano, voglio fare piccoli oggetti, in grande serie, che possano entrare in molte case e da portare in tasca se non si ha la casa. Contaminare le abitudini occidentali con le ritualità orientali ma senza costruire ogni volta fenomeni e avvenimenti: vorrei che fosse un processo silenzioso, dinamico e luminoso. Voglio essere sempre più in azione, con sempre maggiore consapevolezza e responsabilità rispetto proprio alle rocce della società: l’industria e la famiglia. Più gli oggetti diventano seriali e si decentrano rispetto ai fenomeni centralizzati, celebrativi (le mostre, i circuiti elitari per esempio) più entreranno anche in quelle realtà più strane a noi più sconosciute, quelle che ci sfuggono. In questo modo si può entrare nella realtà con il lavoro da cui non voglio separare la mia strada esistenziale.

 

Domanda C.M Nella mostra a Speciale (n.d.r.: aprile 1988) l'installazione vede il lavoro di Ugo Marano, Tarshito e Pettena al piano terra, sul balcone, c’è quello di Aldo Mondino, in soffitta c’è il tuo “Welcome”. Come ti sei posta con questi compagni di lavoro nella

definizione di questa iniziativa? Chi sono gli “uomini di cuore” e le “donne in azione” che saluti all'ingresso della tua mostra?

 

Risposta S.C.T. Con Tarshito, Marano e Pettena, ultimamente mi sono scontrata tantissimo perché mi dava ansia questo volere fare per forza le mostre, le riviste, le cose importanti ... Ultimamente io non avevo proprio più voglia di essere presente alle cose sempre in modo “ufficiale”. Loro sono molto ufficiali, perché sono maschi archetipici e devono lavorare in modo ufficiale. In questa lavoro a cui mi hanno invitata per Speciale, mi sono ritrovata ad essere piccola, cioè a volere fare capire che la mia posizione nei confronti del lavoro non è di rinuncia ma è verso una strada più esoterica, più sottile. Così ho scelto di andare in soffitta, uno spazio completamente dimenticato da Tarshito che si era fermato solo all'uso degli altri piani. Mi sono sentita sbloccata completamente dalla paura di confrontarmi con loro e ho scritto appunto questo messaggio di “Welcome” ai maestri illuminati, alle intelligenze cosmiche, agli uomini di cuore, alle donne in azione... perché mi sembrava di essere proprio nel luogo giusto: senza muri, senza strutture io potevo essere quel canale vuoto che riceve e accoglie. Gli “uomini di cuore” sono coloro che devono imparare. È un invito agli uomini a non essere sempre rivolti all'esterno, a non dovere per forza realizzare il loro potere, il loro ego. Significa proprio fare funzionare di più questo centro, il cuore: fa perdonare, non impone l'autorealizzazione, riesce a trasmettere. Le “donne in azione” sono le donne che devono assolutamente prendersi le responsabilità nei confronti del sociale. Perché gli uomini, fra l’altro, possono essere di cuore se non sono obbligati ad avere troppe responsabilità, perché le responsabilità in un uomo diventano potere, mentre in una donna sono amore continuo e infinito. Questo perché la donna è così, può essere in azione, può decidere, muoversi e realizzare delle cose che non sono piene di ego. In questi anni di lavoro ho sempre sentito molto seriamente la mia responsabilità nel materializzare degli oggetti. Infatti sento molto la tragedia che c’è nell'universo, e sento che più si cresce più bisogna prendersi delle responsabilità. Perché se questo non accade è veramente brutto, nero.

Senza responsabilità, senza cercare e dare significato alle cose, non avrei più alcuna gioia nel fare, nel muovermi. Questo è per me essere donna in azione e questo, nei confronti degli uomini con cui ho lavorato, ha avuto un ruolo importante; per loro era essenziale comunque manifestare la propria arte, per me ci doveva essere assoluta compensazione fra l’essere e il fare. È stato il nostro reciproco contributo: da parte mia la riflessione, da parte loro insegnarmi a realizzare le cose. Ci sentiamo grati di questo scambio. Gli scambi ci saranno sempre: questo perché gli uomini di cuore esistono e quando esistono e quando esercitano la loro parte più morbida, senza muri, è bello.

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