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Succede che alcune nazioni si dividono e altre si uniscono e che le idee universali decadono. Che i sistemi centralizzati vanno in crisi. Che il progresso entra in conflitto con la natura e che si incomincia ad accorgersi che alla vita della Terra corrisponde la vita della specie (e non il contrario). Succedono le guerre che chiamano a confrontarsi con la pace; succede che giovani donne occidentali si incontrino con giovani uomini orientali o africani e si innamorino: i matrimoni «misti» crescono vertiginosamente. Succede che le metropoli moderne, macchine pensate per produrre ed abitare secondo le regole univoche dell’efficienza, si trasformino a vista d’occhio in luoghi magmatici e irrazionali abitati da ogni sorta di differenze. Ricchissimi e disperati, bianchi e neri, stanziali e nomadi. Succede che il nomadismo non è più solo quello di chi viaggia o degli zingari della mia infanzia, ma anche di molti che non hanno una casa e se la inventano ciclicamente dentro ai container sotto alla tangenziale o in qualche cascinale cadente, rimasto a consumarsi fra i megapalazzi delle periferie.

Succede che le aiuole siano ingombre di scarpe o vestiti vecchi perché, c’è da supporre, qualcuno lì si sia cambiato d’abito. Succede che tutto è molto sporco e inospitale e che ci si trovi a desiderare comodi e igienici club privati: qualcuno ci prova a metterli su e quelli che ci sono hanno successo. Succede così che si costituiscono piccoli clan e persino per entrare a ballare bisogna essere riconosciuti. Perché i luoghi pubblici, quelli veramente di tutti, fanno paura, così luridi e disumani che anche le persone che lì si incontrano non si piacciono: l'inospitalità dei luoghi si estende sulla gente e tutti diventiamo parte di questo paesaggio repulsivo. Così succede che si ritorni a casa e si tirino le tende per oscurare l’esterno, dimenticarlo. Si dilata la frattura fra interno ed esterno, fra individualità e alterità e mentre la casa - ricolma di oggetti confortevoli - si fa teatro di intime rappresentazioni, nella città, spazio abbandonato dai desideri, agisce l’indifferenza e l’imbarbarimento dei rapporti sociali.

Ne ho parlato con uno psicoanalista e mi ha detto che questa visione della citta è una proiezione all’esterno della mia «polis» interna e così ho pensato «la solita Clara», ma poi ho ricontattato dopo un periodo di assenza il lavoro delle donne e ho trovato che alla facoltà di architettura di Milano il gruppo Vanda sta lavorando sul tema della città («Osare pensare la città femmina»), che Gisella Bassanini ha scritto un libro sulla configurazione del privato e del pubblico nella storia (Tracce silenziose dell’abitare, Franco Angeli editore) che la rivista «Fluttuaria» è uscita con un numero intero Sull’Abitare al femminile (N. 13-14). Nel loro approccio al tema dell’abitare mi sono ritrovata, alla loro tensione a progettare luoghi connettivi e «ospitanti» mi collego con naturalezza. Per un’altra volta: Clara e le altre.
 

Abitare il design

Il design sconfina con l’arte, con l’arte applicata, con l’architettura e gli approcci disciplinari si intersecano e si aprono a nuovi sistemi di riferimento concettuali e operativi.

Sono venuti meno i metodi e gli stili universalmente applicabili.

Vengono alla ribalta le regioni del mondo e i linguaggi vernacolari suscitano nuove attenzioni.

La ibridazione fra culture, simbologie, materiali e tecniche è il punto di riferimento per molte esperienze di progetto. Introspezione, stanze, istanze sono patrimonio del nuovo design. Si sono cosi aperte le dighe della soggettività e della libera espressione e centinaia, migliaia (?) di autori mai censiti, molti giovani, uomini e donne, prorompono lungo i canali di occasioni trovate o procurate (la proliferazione delle mostre è un fenomeno caratterizzante degli ultimi anni) per mostrare qualche segno del loro operare. Alla moltiplicazione dei linguaggi corrisponde la pluralità dei modi di produrre. Interlocutore non è più solo l’industria e la serialità del prodotto diventa tema per pochi progettisti. Spesso gli artefatti sono in copia unica utili ad essere esposti o pubblicati; qualche volta raggiungono la piccola serie e si riattiva così il ricchissimo tessuto delle attività artigiane. In questo quadro il vero scoglio è la distribuzione: come fare a veicolare il prodotto fino al mercato? Chi sono i consumatori probabili del nuovo design e come contattarli? Anche il marketing tradizionale (quello che si cimenta a tradurre il mondo in una sommatoria di stili di consumo utili alla diffusione mirata delle merci) è in crisi perché i comportamenti delle persone sempre più sfuggono alle prefigurazioni.        L’impresa, luogo di integrazione fra risorse e progettualità, è oggetto di analisi e di cambiamento: cresce la domanda di formazione in corrispondenza alla necessità di nuovi quadri capaci di responsabilizzazione e decisionalità. I nuovi metodi formativi introducono concetti come individualità e gruppalità, complessità, cambiamento e partnership. Anche il dilagare della questione della qualità totale, indicando nel prodotto il risultato di un processo fatto di parti e di relazioni, chiama a ripensare al rapporto fra individuo, lavoro e impresa.

La flessibilità e la capacità di interpretazione dei fattori sono ingredienti necessari al successo, tanto più dentro un quadro internazionale che vede il monopolio del Made in Italy minato da nuove concorrenzialità.

Forme consortili fra unità produttive e fra produzione e distribuzione appaiono in alcuni casi come gli unici veicoli possibili per consolidare posizioni raggiunte o avviare processi di crescita.

Spazi di interpretazione cruciali per il progetto-design, inteso nella sua globalità, provengono dalle nuove tecnologie per il riciclaggio degli scarti che rendono disponibili materiali inventati le cui proprietà sono ancora da sondare e dalla interpretazione dei comportamenti individuali e sociali con particolare cura al rapporto «privato-pubblico».

 

Abitare il progetto

Io non credo che di un oggetto si possa dire «questo è disegnato da una donna, questo da un uomo» perché, volendo seguire la traccia degli attributi che si collegano al femminile e al maschile, ho visto cose potenti e austere progettate da donne e cose delicate e poetiche progettate da uomini.

Non è una questione di forma.

Men che meno oggi il progettare può essere ridotto alla sola questione delle forme.

Di cose curve, a pinnacoli o a punta ce ne sono anche troppe e il tema dell’eccesso è questione di urgente attualità.

Credo piuttosto che sia tempo di ascoltare, interpretare i processi e tessere relazioni rispettose e che il «progettare» sia da intendere come una attività creativa che connette le parti «lanciando in avanti» (pro-gettando) messaggi vitali per gli esseri umani e per il pianeta. Così immagino nuovi progetti come risultato di relazioni dinamizzanti fra l’interno e l’esterno, fra il maschile e il femminile, fra il privato e il pubblico, fra la casa e la città, la marginalità e la centralità, le persone, i mezzi di produzione, le tecnologie e l’ambiente.

Oggi, ancora molte delle esperienze delle nuove generazioni dei/delle designer hanno in comune il carattere della sporadicità, dell’isolamento e della esasperata soggettività.

L’esito della esperienza progettuale è spesso un prototipo che, dopo avere fatto il giro di qualche mostra, ritorna a casa e li si spegne. Energie ed iniziative si attivano e si consumano all’interno dello stesso circuito e, all’esterno, ben poco si sposta.

Così accade che mentre i giovani, donne e uomini, inventano i loro mondi figurati, molte delle aziende di settore propongono mobili tradizionali ripercorrendo l’800 e il ’900 alla ricerca di madie e cassettiere da ridisegnare e produrre.

Si allarga così la frattura fra individualità e socialità, fra introspezione e intervento, fra ricerca e produzione. La cultura del progetto e quella dell’abitare raramente si accompagnano.

Ma è in clima di complessità che si rende necessario e possibile interpretare creativamente il gioco delle parti. Non c’è più un solo modo per fare le cose. La crisi in cui versano i grandi disegni razionalizza tori e unitari porta con sé nuove opportunità, problematiche e interlocutori.

Penso così all’espandersi di relazioni di partnership fondate sul rispetto e la reciproca valorizzazione: c’è da augurarsi, perché ciò accada, che le donne e più estesamente il femminile di ciascuno, entrino direttamente nell’azione nutrendola dal cuore.

DONNE
il design delle donne 

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