top of page
ARTIGIANATO DESIGN AUTOPRODUZIONE
Artigianato indiano

“Qua da noi gli artigiani hanno nome e cognome”

 

Mostrare qualcosa dell’artigianato indiano, perché è così bello che commuove

Riflettere che gli artigiani non hanno mai nome e cognome, a differenza dei designers e degli stilisti

Fare conoscere la qualità dei manufatti e la qualità delle storie

Creare nuovi contatti perché questi artigiani (e altri che troveremo) abbiano lavoro,

ben remunerato, e che il loro sapere non finisca con loro

Contribuire alla riqualificazione dell’artigianato, che esca dal ghetto in cui è stato

messo e in cui si è messo

Guardare, attraverso lo specchio dell’India, all’Italia e all’Europa dove l’artigianato

non versa in migliori condizioni, a parte poche isole felici

 

Non ci piacciono le mode etniche che fanno minestrone di culture e persone e che,

con la scusa di aprire al mondo, mercificano tutto e ci chiudono gli occhi su

specificità e differenze

 

Oggi parliamo d’India perché l’artigianato indiano è uno fra i più straordinari al

mondo e perché ci è capitato di poterlo conoscere più da vicino, attraverso Daniela

(Bezzi) che dell’india si sta innamorando grazie agli artigiani e ai manufatti che

incontra sulla sua strada

Un invito a pensare al Giappone che onora i maestri artigiani della qualifica di “tesori nazionali”, li tratta come tali e si adopera per donare loro degni discendenti

 

Crediamo che l’artigianato vada rivalutato

perché può creare bellezza e ricchezza, economica e sociale

perché può creare occupazione fra i giovani, purché se ne innamorino (l’importanza della comunicazione)

perché avvicina alla comprensione della materia che a sua volta avvicina alla consapevolezza delle risorse e dell’ambiente

perché può essere interamente autogestito: dal produttore al consumatore senza creare sacche parassitarie

perché può trattare materiali naturali (la campagna), ma anche artificiali (recupero di scarti metropolitani)

perché crea relazione

perché necessita poco investimento in danaro (microcredito, banca etica etc.)

perché non inquina o inquina poco

perché lavorare con la testa e con le mani può aiutare ad armonizzare qualche squilibrio

perché è una alternativa al modello della globalizzazione (delle merci, dei servizi e della miseria)

perché valorizzare l’artigianato può aiutare a creare relazione con gruppi ghettizzati (gli zingari, per esempio)

perché può aiutare le donne a ridare valore al loro specifico saper-fare, uscendo da micidiali alternative come: casa o lavoro, miseria o prostituzione, solitudine o socialità etc.

 

Il programma di Oceano indiano

è un progetto a tappe, questa è la prima e viene a seguito di incontri e sinergie fra vite vissute:

Daniela, giornalista e ricercatrice, che dell’India si innamora attraverso l’artigianato, quello colto e quello di strada; Clara che, dopo un lungo bagno nel design, va a vivere per qualche anno in una comunità di artigiani in Francia; Tarshito che con gli artigiani, indiani o italiani, soprattutto del meridione, ha messo in opera tutte le sue fantastiche intuizioni.

 

fra i programmi di Oceano Indiano:

contatti e visite guidate a manifatture indiane

promozione di stilisti/designers indiani in occidente ed occidentali in India

importazione su ordinazione di manufatti (anche piccoli ordini)

realizzazione di progetti personalizzati

organizzazione di incontri, mostre e laboratori

redazione di un catalogo per la vendita per corrispondenza

documentazione attraverso strumenti multimediali

consulenze per gruppi di acquisto

 

gli obbiettivi:

valorizzare l’artigianato di qualità

individuare i maestri e creare i discepoli

documentare e comunicare, soprattutto ai giovani

incentivare scambi fra saper-fare tradizionali e cultura contemporanea

favorire la creazione di micro-imprese

sostenere l’etichetta etica

appoggiare e divulgare processi di sviluppo sostenibile

promuovere scambi fra oriente ed occidente

valorizzare il saper- fare delle donne

creare circuiti di commercializzazione

Ancora 1
bottom of page