Clara Mantica C A N T A R E S T O R I E
ARTIGIANATO DESIGN AUTOPRODUZIONE
Artigianato indiano
“Qua da noi gli artigiani hanno nome e cognome”
Mostrare qualcosa dell’artigianato indiano, perché è così bello che commuove
Riflettere che gli artigiani non hanno mai nome e cognome, a differenza dei designers e degli stilisti
Fare conoscere la qualità dei manufatti e la qualità delle storie
Creare nuovi contatti perché questi artigiani (e altri che troveremo) abbiano lavoro,
ben remunerato, e che il loro sapere non finisca con loro
Contribuire alla riqualificazione dell’artigianato, che esca dal ghetto in cui è stato
messo e in cui si è messo
Guardare, attraverso lo specchio dell’India, all’Italia e all’Europa dove l’artigianato
non versa in migliori condizioni, a parte poche isole felici
Non ci piacciono le mode etniche che fanno minestrone di culture e persone e che,
con la scusa di aprire al mondo, mercificano tutto e ci chiudono gli occhi su
specificità e differenze
Oggi parliamo d’India perché l’artigianato indiano è uno fra i più straordinari al
mondo e perché ci è capitato di poterlo conoscere più da vicino, attraverso Daniela
(Bezzi) che dell’india si sta innamorando grazie agli artigiani e ai manufatti che
incontra sulla sua strada
Un invito a pensare al Giappone che onora i maestri artigiani della qualifica di “tesori nazionali”, li tratta come tali e si adopera per donare loro degni discendenti
Crediamo che l’artigianato vada rivalutato
perché può creare bellezza e ricchezza, economica e sociale
perché può creare occupazione fra i giovani, purché se ne innamorino (l’importanza della comunicazione)
perché avvicina alla comprensione della materia che a sua volta avvicina alla consapevolezza delle risorse e dell’ambiente
perché può essere interamente autogestito: dal produttore al consumatore senza creare sacche parassitarie
perché può trattare materiali naturali (la campagna), ma anche artificiali (recupero di scarti metropolitani)
perché crea relazione
perché necessita poco investimento in danaro (microcredito, banca etica etc.)
perché non inquina o inquina poco
perché lavorare con la testa e con le mani può aiutare ad armonizzare qualche squilibrio
perché è una alternativa al modello della globalizzazione (delle merci, dei servizi e della miseria)
perché valorizzare l’artigianato può aiutare a creare relazione con gruppi ghettizzati (gli zingari, per esempio)
perché può aiutare le donne a ridare valore al loro specifico saper-fare, uscendo da micidiali alternative come: casa o lavoro, miseria o prostituzione, solitudine o socialità etc.
Il programma di Oceano indiano
è un progetto a tappe, questa è la prima e viene a seguito di incontri e sinergie fra vite vissute:
Daniela, giornalista e ricercatrice, che dell’India si innamora attraverso l’artigianato, quello colto e quello di strada; Clara che, dopo un lungo bagno nel design, va a vivere per qualche anno in una comunità di artigiani in Francia; Tarshito che con gli artigiani, indiani o italiani, soprattutto del meridione, ha messo in opera tutte le sue fantastiche intuizioni.
fra i programmi di Oceano Indiano:
contatti e visite guidate a manifatture indiane
promozione di stilisti/designers indiani in occidente ed occidentali in India
importazione su ordinazione di manufatti (anche piccoli ordini)
realizzazione di progetti personalizzati
organizzazione di incontri, mostre e laboratori
redazione di un catalogo per la vendita per corrispondenza
documentazione attraverso strumenti multimediali
consulenze per gruppi di acquisto
gli obbiettivi:
valorizzare l’artigianato di qualità
individuare i maestri e creare i discepoli
documentare e comunicare, soprattutto ai giovani
incentivare scambi fra saper-fare tradizionali e cultura contemporanea
favorire la creazione di micro-imprese
sostenere l’etichetta etica
appoggiare e divulgare processi di sviluppo sostenibile
promuovere scambi fra oriente ed occidente
valorizzare il saper- fare delle donne
creare circuiti di commercializzazione